La parola che salva: per un ritratto di Dante filosofo del linguaggio
In questo saggio si discutono alcuni elementi relativi all’immagine di Dante filosofo del linguaggio, impegnato nel passaggio della sua scrittura da un’implicazione in valori terrestri e umani a significazioni di alta speculazione teologica. Si analizzano quindi, percorrendo criticamente luoghi spec...
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Formato: | article |
Lenguaje: | CA EN IT |
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2013
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Acceso en línea: | https://doaj.org/article/24df857ac6534fef930438d6cb8eda74 |
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Sumario: | In questo saggio si discutono alcuni elementi relativi all’immagine di Dante filosofo del linguaggio, impegnato nel passaggio della sua scrittura da un’implicazione in valori terrestri e umani a significazioni di alta speculazione teologica. Si analizzano quindi, percorrendo criticamente luoghi specifici così del poema come dei tre canti ventiseiesimi delle cantiche, i modi con cui il poeta punta alla riconquista dell’ordo originalis del dire biblico e teologico. Sono i luoghi nei quali Dante mostra di voler rovesciare il rifiuto già platonico della poesia (per il suo dubbio rapporto con la verità) puntando a fare del volgare invece proprio la lingua del sapere filosofico, all’interno del cui sensus literalis traspaiono gli universali. Siamo in presenza di un gigantesco fenomeno di passaggio da una parola umana a una parola ‘divina’: dentro di esso l’individualità storica e materiale della prima viene comunque salvaguardata, ai fini della realizzazione di quello che possiamo definire il primo esempio di realismo metafisico. Per questo si studia il confrontarsi dantesco con l’intera tradizione poetica ‘terrestre’ precedente e coeva, sino al modello di Arnaut che rappresenterebbe l’additamento poetico di una via salvationis che prende le mosse dall’umano «andar lacrimando» per procedere verso una lingua che parla «quasi come per se stessa mossa», che accoglie in sé gli universali e viene proposta quindi come la lingua di un nuovo Adamo. L’intero universo sensibile perciò è fatto parlare attraverso la nuova lingua del sacrato poema (nei canti XXIII-XXVI paradisiaci), ora definitivamente consolidata sul modello della scrittura testamentaria da sempre affidata al credere e non più al vedere. |
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